In somma il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla. (Leopardi “Zibaldone 1341”). Gli interroganti hanno deposto ogni curiosità; il loro presagire ama il nulla, nel quale essi riconoscono il più antico principio (Heidegger “Beitrage zur Philosophie”). La parola «nulla» è la dizione guida del canto di Leopardi. Essa è tale, però, non già perché occupi una posizione “destinalmente” avanzata dalla quale indirizzerebbe il poeta alle questioni ultime, inducendolo a ideare una “fusione” di poesia e filosofia come “estremo rimedio” contro la sua (del nulla) angosciante verità – ma perché, piuttosto, resta indietro, alla fonte, da cui, silente, avvia il pensante all’osticità dell’erranza. Il nulla risuona da una vaghezza per la quale manca ancora l’udito. Nel suo suono, infatti, sentiamo d’impatto l’annientamento d’ogni cosa, la scempia nullità – i cosiddetti nihil absolutum e nihil negativum.Consideriamo l’assoluta negatività del nulla come un dato inoppugnabile. Così non siamo interessati alla sua attendibilità. Di conseguenza, ne tralasciamo l’origine, rendendoci in tal modo fautori della più ostinata spensieratezza. I nostri sensi si attengono sempre alla contingenza,divenuta, nel frattempo, la base operativa dell’odierno sapere informato al pensiero computante – il quale, peraltro, camuffandosi da “pensiero essenziale”, innalza ormai la contingenza stessa al rango di realtà eterna. Siamo talmente assuefatti a questa comoda sensazione da non essere neppure sfiorati dal sospetto che ci attendano, nascosti e custoditi nella lingua madre, un altro intendere e un diverso pensare.
IV edizione. Le edizioni precedenti sono esaurite, questa è una nuova edizione ampliata
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