Una delle tante storie che l’ebraismo ha prodotto e subìto durante le sue peregrinazioni. Perché l’ebreo appartiene a un popolo migrante, e, anche se gli hanno continuamente tarpato le ali, ha continuato a tornare nei luoghi di provenienza. Stavolta non c’è ritorno, se non per pochi. Si sa, chi migra in ritardo, in piena estate – periodo della deportazione ebraica dall’Ungheria – non ritorna. Bruno, il protagonista di questa storia, si trasferisce a Budapest per continuare i suoi studi e riesce a sfuggire alla deportazione.
Gli ebrei di Budapest sono rinchiusi nel ghetto o nelle case protette di varie Ambasciate, ma vivi; conoscono il futuro, e malgrado questo sperano. Bruno, no. C’è troppo pericolo, non può rimanere a lungo. Ottiene un certificato di nazionalità svedese, ma si tradisce e insieme con la sua donna viene portato al Danubio per l’esecuzione. Lui si salva e finisce in un campo di lavori forzati e, con l’avvicinarsi delle truppe sovietiche, è avviato con altri prigionieri verso Mauthausen.
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