Questo memoir, il secondo dopo Crazy Brave. Guerriera folle di coraggio, non segue una progressione cronologica raccontando gli eventi principali che hanno determinato il percorso di una vita, ma è una narrazione intensamente lirica del ruolo che la poesia, l’arte e la musica hanno avuto per Joy Harjo (Indiana della Nazione Muscokee-Creek, Poeta Laureata degli Stati Uniti) e l’ostinazione con cui ha seguito il richiamo della poesia anche quando scelte e itinerari diversi potevano essere una meta più promettente. Ostacoli e ferite profonde, personali e famigliari, sembrano arrestare una crescita ordinata e felice, anche per la consapevolezza di appartenere a un popolo conquistato con la violenza delle armi, costretto ad abbandonare la terra nativa, terra che ancora conserva radici spirituali e culturali di un’antica civiltà e per la quale Joy Harjo sente di essere una “poeta guerriera”, scrivendo di sé e del proprio popolo, per lottare contro ingiustizie e come dice in una sua poesia, “Avrei preferito non parlare con la Storia, ma la Storia è venuta da me”.
Il memoir è quindi anche un viaggio, tra i molti altri, verso la piena acquisizione della sua identità di poeta. Joy Harjo invita inoltre il lettore a considerare la scrittura nativa nelle sue varie espressioni – narrativa, poesia, autobiografia, teatro, arti visive – come una processo di decolonizzazione dalla cultura dominante.
“Immaginare lo spirito della poesia assomiglia molto ad immaginare la grandezza della voce interiore. È una specie di luce della risurrezione; è il grande spirito degli antenati che è stato con me sin dagli inizi, o un orso o un colibrì. È cento cavalli che corrono nella prateria in una lieve foschia, o una donna che si spoglia per il suo amato alla luce del fuoco. Non è niente di queste cose. È più di tutte.”
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