Il tema del Terzo Reich attraversa tutta l’opera Alexander Kluge. All’interno di questo confronto, lo sterminio degli ebrei costituisce un centro imprescindibile. La difficoltà di comprendere la Shoah con gli strumenti dell’arte risiede nel fatto che la forma narrativa classica in questo caso non funziona. Bisogna però continuare a raccontare: del fallimento delle élite, della velocità vertiginosa del male che si impone attraverso le autorità, di quanto sia raro potersi salvare. Chi dice una parola di consolazione è un traditore è un libro che circumnaviga il tema della Shoah, tante piccole storie di destini difficili, noti e sconosciuti. 48 frammenti (della lunghezza di una o due pagine al massimo) che raccontano intersezioni anche minime con quelle forme di organizzazione che annientano l’essere umano. 48 piccole tessere di un gigantesco mosaico, impossibile da completare. Questo libro ci mostra che se la Shoah sfugge alla forma compiuta, nel frammento invece riesce a emergere con la forza di un vissuto del presente.
«Il processo Auschwitz» disse Bauer in un’intervista «ha per obiettivo di mostrare a noi tedeschi, ma anche al mondo intero, che la nuova democrazia ha la volontà di vigilare sulla dignità di ogni essere umano».
Alexander Kluge (Halberstadt, 14 febbraio 1932) è un regista, sceneggiatore, scrittore, saggista, produttore cinematografico e attore tedesco. Nel 1962 è stato uno dei firmatari del Manifesto di Oberhausen che ha dato inizio al Nuovo cinema tedesco, mentre nel 1968 ha vinto il Leone d’oro al festival di Venezia per il film Artisti sotto la tenda del circo: perplessi. Ha ottenuto nel 2002 l’Orso d’oro alla carriera, mentre nel 2007 la Mostra di Venezia lo ha omaggiato con un Programma Speciale.
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