Nei suoi racconti Melitta Breznik “riesce ogni volta a mantenere alta la tensione, facendo emergere nel dettaglio il significato di tutta una vita ed evitando con grande cura ogni patetismo. Ciò che la Breznik vuole affrontare è appunto la periferia dell’esistenza – l’amico malato di Aids, l’anziano ex combattente che sta morendo di tumore, il caso di omonimia nel ricovero per tentato suicidio – sono istantanee scattate da una certa distanza, ma che sempre inquadrano il punto in cui la vita, per l’incepparsi più o meno casuale di un ingranaggio, s’avvicina ai confini con la morte, o con la follia e a quel punto rispecchia se stessa”. (Anna Ruchat)
La raccolta di Melitta Breznik comprende otto racconti, ritratti di una periferia, come fossero otto fotografie in biancoenero. Con un ritmo quasi cronachistico, quasi si trattasse di “casi clinici” o di cronache giudiziarie, i racconti fotografano situazioni ormai compromesse, immodificabili, seguendo una semplice esigenza di ridisegnare un percorso a partire dalla sua conclusione per ribadire l’ineluttabilità degli eventi umani.
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