Ripercorrere il passato del proprio paese, dare voce alle donne segregate, ritrovare l’orgoglio arabo contro i conquistatori stranieri: superare il silenzio di coloro che non hanno mai potuto raccontare e primo fra tutti il silenzio della scrittrice stessa che vuole narrare usando la parola dell’altro, la parola dello straniero.
Così l’immagine autobiografica della bambina algerina condotta per mano dal padre alla scuola francese diventa la figura emblematica di una formazione intellettuale che permette di sfuggire alla costrizione della tradizione ma che nello stesso tempo obbliga all’uso di una lingua altra che induce al mutismo, all’impossibilità di esprimere liberamente i propri sentimenti.
Tutto il romanzo si snoda così tra passato e presente, silenzio e parola, chiusura e liberazione, per rivendicare la libertà della donna e della scrittrice, per ricostruire una memoria collettiva al femminile.
Questo romanzo è una delle opere migliori della narrativa del Maghreb. Anche a detta della stessa autrice, questo è il suo romanzo più bello.
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